Manifesto per una società a emissioni zero, rifiuti zero e chilometro zero
Livio de Santoli, Angelo Consoli
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Prof. Livio De Santoli |
Introduzione
Territorio Zero è un manifesto che
impegna chi lo sottoscrive a realizzare un programma di sviluppo
territoriale rispettoso delle risorse naturali in una visione
innovativa; TerritorioZero contiene un programma
politico-amministrativo, fondato su basi tecnico-scientifiche, che
suggerisce soluzioni operative alle nuove generazioni di amministratori
degli enti locali.
Con la sottoscrizione del Manifesto di TerritorioZero si
assume l’impegno di affrontare tutte le tematiche territoriali
(ambientali, agricole, energetiche, urbanistiche, sociali, economiche)
secondo una visione unitaria e olistica, proiettata nel secolo e nel
millennio che stiamo vivendo, sovversiva rispetto alle politiche
esistenti legate alle logiche del passato.
Il modello economico della seconda rivoluzione industriale
è entrato in una crisi strutturale fortemente intrecciata con le crisi
energetica, climatica e ambientale fino a rappresentare una minaccia per
la civiltà come la conosciamo. La devastazione dei territori e delle
risorse naturali (terra, acqua, aria, salute pubblica), si accompagna al
progressivo affermarsi di una società estremamente diseguale ed una
economia concentrata nelle mani di pochi. Lo sfruttamento delle fonti
energetiche convenzionali presuppone una altissima intensità di capitali
ed una progressiva e definitiva espulsione del fattore umano dai
processi produttivi. Il modello esistente, nato con la geopolitica e le
commodities della seconda rivoluzione industriale ha espropriato le
comunità locali della possibilità di controllare i propri destini
economici, perché le ha private della sicurezza di accesso all'energia,
al cibo, all'acqua, ai beni comuni, e in definitiva di qualunque
speranza per il futuro, introducendo nel senso comune la rassegnazione
all'idea che l'inquinamento, le emissioni di gas serra, la produzione di
rifiuti, la mercificazione dei beni comuni, la distruzione dei saperi
agricoli tradizionali siano pedaggi da pagare per un non meglio
precisato “progresso”.
Per agire efficacemente sulle cause (e non solo sugli
effetti) di tale modello distorto bisogna uscire dalla logica del
profitto e della concentrazione della ricchezza, sia nell'ambito
industriale (grandi fabbriche, grandi centrali), che in quello agricolo
(coltivazioni intensive basate su prodotti chimici) e della
distribuzione (grandi centri commerciali e consumismo esasperato con
incremento esponenziale della produzione di
rifiuti), e abbracciare un modello di sviluppo olistico, caratterizzato
da tecnologie ad alta intensità di lavoro ed a bassa intensità di
capitali e di profitti. Questo nuovo modello di sviluppo si basa su una
idea di società in cui emissioni, rifiuti, speculazioni sui beni
agricoli, sull'economia reale, consumo del territorio e distruzione del
valore/lavoro vengano progressivamente ridotti a zero.
Per questo lo abbiamo battezzato TerritorioZero e
riteniamo che esso possa essere garantito solo da soggetti nuovi e non
da quelli che hanno creato la crisi che stiamo vivendo: le comunità
locali, le piccole e medie imprese, che creano ricchezza distribuita e
conferiscono protagonismo agli enti locali, alla rete
dell'associazionismo democartico e riassegnano un ruolo attivo e
responsabile a ciascun individuo.
TerritorioZero permette di programmare le attività economiche a livello locale secondo:
1) un nuovo modello energetico distribuito che permetta di raggiungere
la necessaria massa critica a partire dalle fonti rinnovabili secondo
uno schema di rete e di comunità.
2) un nuovo modello agricolo basato sulla de-carbonizzazione dei
processi produttivi e la valorizzazione delle produzioni locali di
qualità fornendo ai coltivatori un accesso diretto al mercato per i loro
prodotti ed un reddito decoroso.
3) un nuovo modello per la chiusura del ciclo di vita dei prodotti che
crei le attività miranti a incoraggiare e realizzare pratiche di
risparmio, riciclo e riuso secondo i principi di “rifiuti zero”,
mettendo in moto nuove attività di raccolta e di creazione di filiere
del ciclo dei prodotti.
4) Un nuovo modello urbanistico che non consenta più consumo di
territorio, ma che riqualifichi e migliori le condizioni delle strutture
esistenti.
TerritorioZero mette in moto, a partire dal livello locale, una nuova
dinamica di promozione dell'economia reale, in opposizione a quella
virtuale e speculativa, mirante a valorizzare la produzione effettiva di
beni e servizi per la comunità, attraverso la riduzione della varie
forme di criticità prodotte dal modello esistente: le emissioni
climalteranti, i rifiuti, l'intermediazione parassitaria, la
disoccupazione, la devastazione del territorio.
Agricoltura ed energia a chilometro zero
L'attuale instabilità del sistema
economico sta avendo pesanti ripercussioni anche sul sistema produttivo
primario dell'agricoltura, che necessita di un ripensamento non più in
termini di comparto, ma di una visione più ampia: tecnica, ambientale,
sociale, culturale oltre che economica.
In particolare al posto del controvalore finanziario del
processo e del prodotto, dovrà essere considerata la componente sociale,
identitaria e territoriale, in grado di diffondere gli effetti positivi
su una superficie più grande del solo fondo di produzione. Le categorie
agricole conoscono l’importanza di progettare un nuovo modello di
sviluppo tenendo conto del rispetto delle risorse naturali, di un
rinnovato rapporto tra città e agricoltura, di un equilibrio tra
urbanizzazione e ruralità e non si sottraggono al compito di considerare
in questo modello di sviluppo l’aspetto dell’innovazione,
dell’integrazione tra saperi e tra generazioni diverse e diversi strati
sociali.
Collegate all’agricoltura sono comprese le seguenti tematiche:
- la difesa e messa in sicurezza del territorio
- la valorizzazione del paesaggio e di conseguenza del turismo,
- la definizione di attività di agricoltura in città,
-
l’incentivazione ed il potenziamento delle imprese agricole con
particolare riferimento all’inserimento dei giovani nelle attività agro
produttive,
- la programmazione energetica applicando all’ambiente e alle attività agro produttive tecnologie ecocompatibili.
L’interesse per le
agro-energie non deve diventare sostitutivo delle attività agricole,
anzi deve risultare come motore di un loro nuovo sviluppo.
In particolare, riguardo a quest’ultimo punto, i principi
fondamentali per un rapporto coerente tra agricoltura ed energia in
termini di compatibilità e sviluppo sono:
La valorizzazione del territorio
Ciò innanzitutto significa non depauperare le risorse quantitative e qualitative del suolo.
L’agroenergia deve essere intesa come il recupero di una
capacità imprenditoriale e quindi produttiva di beni, non in contrasto
con la missione alimentare della produzione agricola, che in un paese
ricco di biodiversità come l’Italia, è di grande qualità. La produzione
di agroenergie non deve intaccare le aree forestate, le aree ricche di
biodiversità ma sostenere le pratiche agricole sui terreni degradati o
non più destinati al settore agroalimentare.
Il ciclo di vita dei prodotti
Occorre puntare sull’utilizzo di scarti e sottoprodotti.
Questi diventano approvvigionamento energetico gratuito o a basso costo.
Sono catalogabili come tali: i rifiuti organici, i liquami zootecnici, i
sottoprodotti delle lavorazioni zootecniche, la sansa da olio, i
materiali di scarto lignocellulosici e i residui agro-forestali. La
scelta di tali elementi come origine della filiera energetica ha due
aspetti in termini di convenienza: un primo puramente economico ossia la
valorizzazione di materia di approvvigionamento a costo trascurabile o
nullo; un secondo energetico, ossia il miglioramento del processo
produttivo in termini di efficienza e risparmio energetico e minore
inquinamento, soprattutto se impostato localmente a favore delle aziende
agricole.
L’organizzazione gestionale della filiera corta e cortissima
Secondo questo principio, lo sviluppo rurale necessita un
nuovo coinvolgimento della forza lavoro del Paese. Vengono individuati
nuovi modelli di comunità, di gruppi consortili, cooperative per una
vicinanza della filiera a livello sociale, territoriale e di indotto
economico. Lo spostamento del business energetico deve avvenire
dall’industria ai gruppi di agricoltori come supporto alla fondamentale
attività di produzione alimentare. Ciò significa tenere conto in sede di
valutazione le ricadute socio-economiche sul territorio. Dunque non un
sistema composto di grandi impianti isolati, di proprietà di pochi
industriali, ma un modello di rete di impianti di piccola taglia, che
coinvolga l’apparato produttivo agricolo diffuso sul territorio nel
concetto di filiera corta.
Analogamente alla promozione del principio di sovranità
alimentare [1], si parlerà quindi di sovranità energetica, con
particolare riferimento al settore agricolo ed alla costituzione di
Comunità dell’Energia[2].
La gestione della chiusura virtuosa del ciclo dei prodotti
La crisi sistemica dell’attuale
momento storico è conseguenza diretta della avidità e complicità,
pigrizia e incompetenza della politica nell’affrontare organicamente e
con visione strategica i grandi temi propri della società contemporanea.
L’esempio dei rifiuti come simbolo di una società dei consumi è quello più evidente.
Il concetto di rifiuto nasce con la seconda rivoluzione
industriale e rappresenta la differenza tra ciò che si produce e ciò che
si consuma, differenza che ci viene imposta in modo significativo,
perché direttamente collegata al nostro grado di soddisfazione. Nella
logica capitalistica postmoderna l’atto di consumo perfetto non può
recare soddisfazione se non istantanea, cioè “i beni dovrebbero
soddisfare nell’immediato e la soddisfazione dovrebbe cessare
immediatamente, non appena esaurito il tempo necessario al consumo”[3].
Nella società dei consumi l’atto del consumo può addirittura essere
eliminato perché non indispensabile, fino a raggiungere paradossalmente
lo spreco integrale e sostituire in definitiva alla società dei consumi
una “civiltà dei rifiuti”. Il problema della produzione di rifiuti non
può essere semplicemente risolto con adeguate tecnologie di smaltimento,
la questione è anche di natura culturale.
Qualunque provvedimento frutto della logica consumistica
non potrà mai essere risolutivo perché destinato ad agire solo sugli
effetti e non sulle cause del problema. Anche in questo caso, occorre
conferire protagonismo agli enti locali e alla piccola e media impresa
legata al territorio, alla rete dell'associazionismo democratico
oltreché riassegnare un ruolo attivo e responsabile al singolo
individuo.
Il concetto che lega la responsabilità di una comunità a
quella dell’industria nel settore dei rifiuti viene identificato nella
strategia proposta da Paul Connett conosciuta come “rifiuti zero”, che
propone accanto alle pratiche della comunità (riuso, riciclo,
riparazione) quelle dell’industria (progettazione e realizzazione di
prodotti e imballaggi) finalizzate alla drastica riduzione del rifiuto.
Schematicamente è
possibile riassumere la strategia Rifiuti Zero [4], rielaborandola per
la parte energetica, nelle seguenti fasi:
- strutturare un sistema di raccolta che aumenti la
quantità di materiale differenziabile, ottimizzandone al tempo stesso la
qualità e diminuendo contestualmente la quantità di rifiuti prodotti;
- incentivare il riuso del materiale riciclato, la
riparazione di oggetti e operare scelte di vita che diminuiscano la
percentuale di scarti;
- sostenere la progettazione e la produzione di prodotti totalmente riciclabili, riutilizzabili e riparabili
- valorizzare dal punto di vista energetico la frazione organica del rifiuto attraverso la produzione di biogas.
E’ stato calcolato che l’applicazione effettiva dei punti
citati permetterebbe una riduzione dell’indifferenziato fino alla quota
del 15% del rifiuto urbano.
Tutto questo si inserisce pienamente nella struttura
socio-economica delle Comunità dell’Energia [2]. Infatti, gli obiettivi
che si possono realizzare sono quelli propri della decentralizzazione e
diffusione sul territorio:
- la realizzazione di un nuovo modello sociale di
gestione dei rifiuti che significa autosufficienza locale e
comportamento virtuoso;
- la realizzazione di un risparmio economico dei cittadini
attraverso un mix virtuoso di: tariffa rifiuti, bollette di gas ed
elettricità, costi smaltimento di rifiuti e scarti;
- la realizzazione di politiche di recupero energetico,
incluso l’obbligo da parte della amministrazione pubblica di occuparsi
direttamente della frazione organica, anche attraverso la produzione di
biogas.
Le amministrazioni locali potranno ottenere un più alto
livello di indipendenza attraverso le tecnologie utili a realizzare
strategie energetiche conformi alle direttive europee [5] e potranno
mirare ad un nuovo sistema socio-economico sostenibile. Gli enti locali
possono realizzare uno scenario rifiuti zero a patto di seguire
paradigmi che prescindano definitivamente dal solo conferimento in
discarica e dall'incenerimento.
Il nuovo modello sociale di gestione proposto rende il
cittadino partecipante attivo delle politiche di decisione e gestione.
Il cittadino riveste il ruolo di primo operatore ecologico ed essendo
coinvolto in prima persona sia da un punto di vista operativo,
attraverso le pratiche della separazione domestica dei rifiuti, che da
un punto di vista ecologico, grazie al miglioramento delle condizioni di
vita e ambientali rese possibili da un ciclo di gestione dei rifiuti
virtuoso incentrato sulla partecipazione e la difesa del suolo. In
questo senso i cittadini titolari di un merito di tipo “partecipativo”
saranno destinatari di politiche di agevolazione economica attraverso
tariffe di rifiuti e bollette energetiche.
La generazione distribuita dell’energia come nuovo modello energetico
L’ampliarsi della generazione
distribuita da fonti rinnovabili e la diffusione di nuovi impianti di
medie-piccole dimensioni (anche in ambito domestico) presuppone un
ripensamento radicale nel modello di distribuzione dell’energia. Un
cambiamento di modello energetico rispetto a quello tradizionale di tipo
centralizzato che vede nella città il luogo ideale per effettuare la
necessaria transizione operativa. Le città – sede della maggior parte
delle emissioni e dei consumi energetici, luoghi dove è concentrato il
70% del PIL mondiale - sono obbligate a mettere in atto interventi
innovativi sull’efficienza energetica e sono in grado di contribuire a
formulare politiche energetiche anche nel panorama nazionale.
Il programma sull’energia prevede che tutte le azioni
siano organicamente inserite in una logica di generazione distribuita
dell’energia:
- le azioni di mobilità sostenibile
- le applicazioni con energie rinnovabili, anche integrate negli edifici
- le applicazioni della cogenerazione e della microcogenerazione
- le azioni per l’efficienza energetica
- i piani di recupero urbanistico
Nella amministrazione di un ente locale occorre un
coordinamento trasversale tra lavori pubblici, attività produttive,
ambiente, mobilità, politiche agricole con lo scopo di mettere in
pratica il Sustainable Energy Action Plan (SEAP, Piano di Azione
dell’Energie Sostenibili) del Covenant of Mayors (Patto dei Sindaci,
programma della Comunità Europea [6]). Gli enti locali che non hanno
aderito al Patto dei Sindaci lo devono sottoscrivere nei primi cento
giorni di governo e devono attuarlo entro il 2020.
TerritorioZero è un programma che per essere efficacemente
adottato e realizzato presuppone una “cabina di regia” unificata, ad
esempio attraverso la costituzione di un “assessorato ai beni comuni” o
un “assessorato alle politiche agricole ed ambientali” in cui far
confluire le competenze sull’ambiente, energia, agricoltura, acqua, in
segno di forte discontinuità con le politiche ambientali e di green
economy esistenti. Infatti una green economy che non sia strutturata
secondo le dinamiche della produzione distribuita dell'energia e si basi
solo su grandi impianti rinnovabili (wind farms, solar parks etc) non
si discosta molto dalla “black economy” in termini di efficienza
produttiva, redistribuzione della ricchezza, creazione di impiego e
democrazia energetica e dunque non favorisce la prosperità del
territorio e degli enti locali che lo amministrano.
Edifici ad energia zero (Zero Energy Buildings)
La politica europea ha imposto agli
Stati Membri il rispetto di livelli prestazionali per l’efficienza
energetica degli edifici, non solo riferiti ad edifici energeticamente
autonomi, ma anche e soprattutto a edifici collocati in un contesto
urbano, assegnando alle Pubbliche Amministrazioni ed al loro patrimonio
immobiliare un ruolo molto rilevante.
Si stima che l’applicazione delle disposizioni comunitarie
consenta al settore dell'edilizia un risparmio 2 miliardi di tonnellate
di CO2 e di 1,5 miliardi di tonnellate di petrolio equivalente di
energia, con quote significative per l’edilizia residenziale (65%).
La Direttiva 2010/31/EU identifica l’edificio a “energia
quasi zero” come un edificio ad altissima prestazione energetica, con un
fabbisogno energetico molto basso o quasi nullo che dovrebbe essere
coperto in misura molto significativa da energia da fonti rinnovabili e
dispone che:
a) entro il 31 dicembre 2020 tutti gli edifici di nuova costruzione siano edifici a energia quasi zero;
b) a partire dal 31 dicembre 2018 gli edifici di nuova
costruzione occupati da enti pubblici e di proprietà di questi ultimi
siano edifici a energia quasi zero.
L’Unione Europea ha stabilito che per realizzare questo
obiettivo è necessario che ogni Paese Membro si doti di un piano di
azione nazionale per l’efficienza energetica per individuare entro il
2020 una strategia nazionale.
Per gli edifici di nuova costruzione gli Stati membri
devono garantire sistemi di fornitura energetica decentrati (la
generazione distribuita dell’energia) basati su energia da fonti
rinnovabili, cogenerazione, teleriscaldamento o teleraffreddamento
urbano o collettivo, pompe di calore.
Da qui appare chiaro il ruolo delle pubbliche
amministrazioni che devono garantire prestazioni energetiche degli
edifici tali da soddisfare i requisiti minimi di prestazione energetica
fissati conformemente alla Direttiva.
Attuare una politica di diffusione degli edifici ad
energia quasi zero significa contestualmente risolvere una serie di
problemi territoriali, quali i vincoli con i gestori delle
infrastrutture energetiche locali, che pone l’ente locale a dover
programmare politiche energetiche a medio termine. La realizzazione su
larga scala di tali edifici necessita di una struttura energetica
fondata su un modello diverso da quello esistente e pertanto anche la
diffusione degli edifici ad alta prestazione energetica non può quindi
non essere accompagnata da una rielaborazioni di reti e
dall’implementazione dei sistemi locali di accumulo dell’energia.
Nell’ambito della applicazione del tema degli edifici ad
energia zero, comincia ad emergere che solo da una ottimizzazione
condotta alla scala di quartiere (suburbana) si possono ottenere
risultati importanti con un ruolo importante svolto territorialmente
dagli enti preposti.
I principi del nuovo modello energetico sono incentrati allo
sviluppo di una società della conoscenza, all’efficienza energetica
come strumento di politica ambientale e di tutela del patrimonio
culturale, alla generazione distribuita dell’energia come chiave
interpretativa della cosiddetta Terza Rivoluzione Industriale [7]. Gli
edifici ad energia positiva sono, infatti, parte di una sovversione
politica, economica, per giungere a un’era post-carbon che rappresenta
il passaggio tra due periodi della storia economica: il primo
caratterizzato dal comportamento industrioso e il secondo dal
comportamento collaborativo. Se l’era industriale poneva l’accento sui
valori della disciplina e del duro lavoro, sull’importanza del capitale
finanziario, sul funzionamento dei mercati, l’era collaborativa è
orientata all’interazione da pari a pari, al capitale sociale, alla
partecipazione a domini collettivi aperti, all’accesso alle reti
globali.
Consumo zero di territorio
Ogni anno in Italia vengono
consumati 500 km2 di territorio. La superficie urbanizzata risulta
almeno pari a 2.300.000 ettari, una estensione equivalente a quella di
un paio di regioni italiane, corrispondenti al 7,5% del territorio
nazionale e a più di 400 metri quadri per abitante. Il fenomeno ha avuto
un esponenziale incremento negli ultimi 15 anni causato in primo luogo
da carenze di pianificazione e da abusivismo edilizio, caratteristici
del nostro Paese [8].
Occorrerà impostare una proposta concreta di
incentivazione del riuso e della rifunzionalizzazione delle aree
industriali e per la demolizione e ricostruzione delle aree residenziali
degradate. Ciò deve essere fatto mediante strumenti appropriati e più
efficaci di quelli esistenti: defiscalizzazioni, comodati d’uso,
coerente utilizzo delle regolamentazioni degli usi civici e dei beni
comuni, bonus di volumetrie e riduzione degli oneri di urbanizzazione
per chi interviene su case e quartieri seguendo il principio di consumo
zero di territorio. Questo è il modo per evitare il consumo di altro
territorio e contemporaneamente riqualificare le zone di degrado e
dismesse.
La rigenerazione si deve trasferire anche nelle città con
un programma di recupero delle periferie che affronti la progressiva
devastazione definita dall’edificazione esistente, a cominciare dal
patrimonio pubblico, che proponga un effettivo adeguamento agli standard
energetici e di sicurezza strutturale, che realizzi il recupero e la
salvaguardia degli spazi verdi pubblici, che permetta una concreto
adeguamento delle infrastrutture in termini di reti e di sottoservizi.
Le amministrazioni locali dovranno:
- determinare l’estensione massima di superficie
agricola edificabile, con lo scopo di porre un limite massimo al consumo
di suolo,
- impedire il cambio di destinazione d’uso per i terreni agricoli che hanno ricevuto aiuti comunitari,
- abrogare la normativa che consente ai Comuni di utilizzare
gli oneri di urbanizzazione per finanziare la spesa corrente.
Salute sostenibile a malattia zero.
Va da se che il modo in
cui l'energia e il cibo vengono prodotti e consumati e i rifiuti
gestiti, ha una profonda influenza sullo stato di salute dell'essere
umano. La maggior parte delle cause (o concause) di malattia e morte
dipendono dall’ambiente, dagli stili di vita e di consumo e dai
comportamenti, liberamente scelti o imposti. E’ indubbio lo stretto
rapporto tra degrado ambientale, rischi per la salute e le nostre
modalità di gestire lo sviluppo.
La crisi ambientale, la
crisi della salute e la crisi dei valori sono strettamente correlate e
interdipendenti. La salute si pone al centro della discussione anche a
causa di un servizio sanitario che diventa sempre più insostenibile dal
punto di vista finanziario. Il sistema risponde alla richiesta di salute
con un numero sempre maggiore di prestazioni costosissime e
tecnologicamente sofisticate, cercando di modificare la storia naturale
della «malattia», che di per sé già significa «salute perduta»,
trascurando invece la prevenzione primaria da effettuare sia
sull’ambiente inquinato e malsano che ci circonda, sia sugli individui,
con una appropriata politica di informazione e di educazione sanitaria
alla ricerca di uno stile di vita più semplice e sostenibile. Negli
ultimi anni il modello tradizionale e gerarchico di sanità che si
identifica con l'assistenza ospedaliera ha iniziato a vacillare non solo
per l'alto costo energetico, tecnologico e di gestione ma anche per le
profonde modificazioni epidemiologiche delle malattie. Tradizionalmente
la patologia acuta ha visto svilupparsi una medicina di attesa che ha
avuto uno sviluppo verticistico nell'ospedale, struttura dedicata sempre
più recentemente alla elevata intensività di cure. L’ospedale è
divenuto inefficace per il trattamento di malattie croniche sempre più
diffuse e necessitanti di interventi multidimensionali di tipo
sociosanitario. L'aumento della vita media con il progressivo
invecchiamento della popolazione ha portato all'aumento delle patologie
cronico-degenerative ed invalidanti, per le quali il modello di attesa
tradizionale dell'ospedale è inadeguato; il baricentro assistenziale
viene spostato nel territorio, con la necessità di intervenire sempre
più efficacemente con interventi di prevenzione. La prevenzione diventa
quindi il pilastro del modello distribuito della sanità nella medicina
territoriale: non solo per la sua indiscussa valenza di promozione e
mantenimento della salute, ma anche per una migliore utilizzazione delle
risorse con conseguente abbattimento dei costi. Le nuove strategie per
l’integrazione delle politiche di salute devono necessariamente tener
conto della sostenibilità ambientale.
In un modello distribuito
di medicina del territorio, i professionisti sanitari e i medici di
famiglia, sono le figure centrali per realizzare una medicina proattiva.
La medicina proattiva ha al centro la promozione della salute e la
prevenzione.
La salute di una comunità è determinata da fattori
socioeconomici e ambientali, dallo stile di vita e dall’accesso ai
servizi. E’ evidente che solo il modello di medicina distribuito sul
territorio che prevede la prevenzione al centro del sistema può
garantire l’attuazione di quella ampia gamma di iniziative, progetti e
politiche necessari per una efficace promozione della salute. Da qui la
necessità di una strategia integrata tra organismi governativi e non,
nei possibili ambiti di intervento territoriale: dall’azione dei medici
nel territorio e nelle scuole, agli interventi delle amministrazioni
pubbliche, attraverso attività formative basate su evidenze
epidemiologiche. Il concetto di integrazione è fondamentale e deve
essere sviluppato in un modello distribuito di territorio zero i cui
caposaldi sono la medicina domiciliare e la telemedicina, cercare cioè
di portare l’assistenza sempre più prossima al cittadino paziente. La
medicina moderna diventata di iniziativa perché non deve essere più il
cittadino paziente a rivolgersi al sistema ospedale ma deve essere il
sistema territorio zero a prendere in carico il cittadino paziente in
maniera proattiva cercando di prevenire l’evoluzione della malattia
cronica.La sostenibilità del sistema salute in un modello distribuito
non può prescindere da una integrazione con il sociale sul territorio in
una logica Territorio Zero, secondo un modello distribuito che va
applicato dunque non solo al modo in cui viene prodotto il cibo e
l'energia e viene evitata la produzione di rifiuti al termine dei cicli
di consumi, ma anche al modo in cui viene organizzata l'assistenza
sanitaria sul territorio. In uno scenario distribuito di terza
rivoluzione industriale non è immaginabile un modello sanitario basato
sulla concentrazione come quello che ha prosperato durante la seconda
rivoluzione industriale che va dunque superato una volta per tutte
introducendo pratiche di prevenzione distribuite sul territorio
piuttosto che pratiche di cura concentrate in pochi grandi centri.
Neocrescita: dalla finanza speculativa ad una crescita diffusa
L’espansione economica della
seconda rivoluzione industriale, essendo basata su fonti il cui
sfruttamento necessitava grandi investimenti finanziari, ha gradualmente
reso l'economia reale strettamente collegata al sistema della finanza
internazionale.
In un'ottica strategica diversa, a maggiore intensità di
lavoro invece che di capitali, il peso dei mercati finanziari deve
diventare progressivamente meno importante, mentre deve acquisire una
importanza di gran lunga maggiore la formazione e valorizzazione del
capitale umano.
Inoltre, essendo le economie di scala meglio raggiungibili
secondo modelli orizzontali o laterali, la forma emergente d’impresa
appare dunque logicamente essere quella delle reti di piccole e medie
imprese interconnesse in forma comunitaria fra di loro e con le
organizzazioni della società civile e le autorità locali e radicate sul
territorio.
Queste sono le basi di quella che chiamiamo “neocrescita”,
che significa crescere liberi, senza sprechi e con una forte riduzione
delle diseguaglianze ottenute attraverso la modellazione locale del
mercato finanziario e bancario. Questo significa imporre standard di
finanza etica nel territorio della propria amministrazione locale in
modo formale ed in informale (concessione di licenze), adottare misure
attive di creazione di credito cooperativo, peer-to-peer lending,
circolazione controllata di monete alternative, microcredito pubblico,
sperimentazione di elementi della pop economy (share and swap) e la
creazione di altre nuove forme di finanziamento sociale.
A livello nazionale ed europeo è necessaria un’azione
spinta dalla coalizione degli amministratori locali perché si arrivi a
ridefinire le regole del mercato finanziario, scoraggiando le forme
d’investimento speculativo ed opaco (shadow finance, high frequency
trading, paradisi fiscali), con misure specifiche.
TerritorioZero permette di pianificare le economie locali
in modo da aumentare il valore intrinseco dei beni e servizi prodotti,
sostituendo nel processo di valutazione economica, a volatili criteri di
valutazione finanziaria, altri criteri concreti e misurabili, quali la
qualità dell'ambiente, lo stato di salute dei cittadini e delle imprese,
la floridezza della cultura locale, la sostenibilità dell’economia
locale. Si mette fine così ad una serie di anomalie tipiche della crisi
attuale (spirale perversa di consumismo, crescita parossistica dei
consumi individuali con conseguenti sprechi energetici, produzione di
rifiuti e distruzione della cultura agricola con un sistema opaco e
complesso di promesse di pagamento spesso fondate su dubbie garanzie di
solvibilità) [9].
TerritorioZero è un nuovo modello politico complessivo, che
include la dimensione sociale ed economica, in cui valorizzare la
qualità secondo una domanda equilibrata in contrapposizione alla
quantità per un consumo imposto. In questo modo il sistema
tecnico-economico verrà indirizzato naturalmente verso livelli che
faranno la differenza rispetto alla qualità delle persone, dei luoghi,
delle istituzioni [10], [11]. Cioè la differenza tra la libertà e la
dignità che vogliamo e l’oppressione ed umiliazione che stiamo vivendo
oggi in Europa e nel mondo.
Riferimenti
1. La sovranità alimentare è il
diritto dei popoli ad un cibo salubre, culturalmente appropriato,
prodotto attraverso metodi sostenibili ed ecologici, in forza del loro
diritto a definire i propri sistemi agricoli e alimentari. Piano di
Azione del World Food Summit, FAO, 1996.
2. Livio de Santoli. Le comunità dell’energia. Quodlibet, 2011.
3. Zygmunt Bauman, Vite di scarto, Laterza, 2005.
4. Paul Connett, Patrizia Losciuto, Rifiuti Zero, una Rivoluzione in Corso, Dissensi, 2012
5. art. 12 della Direttiva 2008/98, Waste to Energy
6. www.eumayors.eu. Il Patto dei Sindaci è il principale movimento
europeo che vede coinvolte le autorità locali e regionali impegnate ad
aumentare l’efficienza energetica e l’utilizzo di fonti energetiche
rinnovabili nei loro territori. Attraverso il loro impegno i firmatari
del Patto intendono raggiungere e superare l’obiettivo europeo di
riduzione del 20% delle emissioni di CO2 entro il 2020
7. Jeremy Rifkin, La Terza Rivoluzione Industriale, Mondadori, 2011
8. Ambiente Italia 2011, Il consumo di suolo in Italia, annuario di
Legambiente elaborato dall'Istituto di Ricerche Ambiente Italia ,
Edizioni Ambiente, 2011
9. Manifesto degli Economisti Sgomenti, Minimum Fax, 2012
10. Amartya Sen, Lo Sviluppo è Libertà, Mondadori, 2000
11. Martha Nussbaum, Capacità personale e democrazia sociale, a cura di Gianfrancesco Zanetti. Diabasis, 2005.
TerritorioZero,
Manifesto per una società ad emissioni zero, rifiuti zero e km zero.
Livio de Santoli, Angelo Consoli
in libreria a gennaio 2013, edizioni Minimum Fax
con la prefazione del Master dell'Università di Pollenzo e approfondimenti di:
1. Domenico de Masi,
2. Paul Connett,
3. Livio de Santoli,
4. Sergio Di Cori Modigliani,
5. Carlo Petrini,
6. Alessandro Politi,
7. Franco Purini,
8. Jeremy Rifkin,
9. Eric Toussaint
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